C’era una volta la festa del lavoro Abbiamo passato un primo maggio mesto, come inevitabile, visto i segnali della sua antivigilia. Gli antichi li avrebbero subito designati come sinistri presagi. Intanto la morte di un grande imprenditore quale Emilio Riva. Una giovinezza passata a raccogliere e vendere rottami nell’immediato dopoguerra, fino a diventare uno dei più grandi produttori di acciaio al mondo, estraneo agli aiuti di Stato, la sua parabola sembra oramai unica ed irripetibile in un Paese in cui domina la ricchezza ereditata. Troppo amara, la conclusione, dettata dalle decisioni della procura di Taranto, insieme a commenti barbari e beceri che si sono letti sui social forum. Altro segnale della deriva del Paese. La morte del patron dell’Ilva accompagna il declino lavorativo italiano, dove la siderurgia sta venendo smantellata. Così, la giornata di festa dei lavoratori è diventata quella che il Capo dello Stato ha definito un giorno d’allarme per il lavoro che manca. Gli scontri a Torino con i No Tav, le insolenze lanciate contro il presidente del Consiglio dal palco di San Giovanni a Roma, sono il segno di un disagio profondo che si sfoga contro i bersagli più facilmente individuabili, ora la polizia, ora un premier sulla cresta dell’onda. In verità sulla questione lavoro il premier indica una direzione giusta da prendere al netto delle contestazioni, solo che non si capisce poi, quanto governo e maggioranza riescano a realizzarla veramente questa direzione. E’ chiaro invece dalla manifestazione dei sindacati di ieri che la parte sociale ancora non sappia come confrontarsi con la novità delle posizioni del governo, e preferisca trincerarsi nelle parole d’ordine più consuete e tradizionali, dando purtroppo ancora una volta un’idea di inadeguatezza. Il 30 aprile avevamo visto come la Cina guidava la rincorsa dei Paesi emergenti alle economie avanzate. Per la prima volta nella storia il peso di queste economie è sceso sotto il 50% del Pil mondiale, è al 49,6%. Pochi decimi percentuali ma che rappresentano un passaggio d’epoca, per cui il baricentro dell'economia del pianeta si sta spostando. I Paesi occidentali, tra cui l'Italia, si trovano di fronte a questa sfida le cui proporzioni ancora non si riescono a percepire interamente. Si è parlato di recessione e addirittura di stagflazione. Questioni importanti con cui bisogna in effetti misurarsi e che costituiscono il paradigma teorico con cui si confronta almeno il nostro governo. Ma in gioco non c’è una semplice, per quanto dolorosa possa essere, fase della nostra vita economica. In gioco è l’intera sopravvivenza del nostro sistema e del ruolo e della funzione che ha svolto finora. Se non si capisce questo siamo già morti. Roma, 2 maggio 2014 |